martedì 18 settembre 2018

Recensione: Le Assaggiatrici - Rosella Postorino

La prima volta che entra nella stanza in cui consumerà i prossimi pasti, Rosa Sauer è affamata. "Da anni avevamo fame e paura", dice. Con lei ci sono altre nove donne di Gross-Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta. È l'autunno del '43, Rosa è appena arrivata da Berlino per sfuggire ai bombardamenti ed è ospite dei suoceri mentre Gregor, suo marito, combatte sul fronte russo. Quando le SS ordinano: "Mangiate", davanti al piatto traboccante è la fame ad avere la meglio; subito dopo, però, prevale la paura: le assaggiatrici devono restare un'ora sotto osservazione, affinché le guardie si accertino che il cibo da servire al Führer non sia avvelenato. Nell'ambiente chiuso della mensa forzata, fra le giovani donne s'intrecciano alleanze, amicizie e rivalità sotterranee. Per le altre Rosa è la straniera: le è difficile ottenere benevolenza, eppure si sorprende a cercarla. Specialmente con Elfriede, la ragazza che si mostra più ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del '44, in caserma arriva il tenente Ziegler e instaura un clima di terrore. Mentre su tutti - come una sorta di divinità che non compare mai - incombe il Führer, fra Ziegler e Rosa si crea un legame inaudito


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Rosa Sauer non è una ragazza speciale, è una delle tante mogli di soldati partiti per la guerra, per combattere in nome della grande Germania, sfuggita dalle bombe su Berlino, e rifugiata presso la casa dei suoceri. 
E' totalmente fuori dal suo contesto: una Berlinese trapiantata a forza, che con i suoi vestiti e scarpe di città continua a spiccare in quel paesino di campagna; ma, almeno inizialmente, non ce la fa ad abbandonare le vecchie abitudini, come se quei vestiti l'aiutassero a tenere bene a mente chi è e da dove viene.
Sarà solo la fame a piegarla, in primo luogo, e la solitudine, poi, ad indurla ad abbandonare quelle abitudini, ed indossare la maschera di tranquilla campagnola, per potersi integrare nel gruppo di donne che, come lei, si vedono costrette a sedere alla tavola del Fuhrer, per assaggiare il suo cibo e fare in modo che lui possa mangiare tranquillo.
Questo è il loro compito: mangiare tre volte al giorno ciò che è stato preparato per lui, perché Hitler teme di venire avvelenato, per cui Rosa e le altre hanno il privilegio di condividere quella tavola, per poi stare li un'ora almeno, ad aspettare per vedere se la morte sopraggiunga o meno.
All'inizio si sente sola, diversa dalle altre, ma man mano che il tempo passa impara a conoscere le assaggiatrici ed i loro problemi: qualcuna ha il marito al fronte, proprio come lei, qualcuna è già vedova, altre sono giovanissime ed ancora non hanno un marito... ma una, in particolare, attira la sua curiosità: Elfriede. E' quella tra tutte più scostante, con più carattere, quella che più di tutte non vuole proprio iniziare a trattarla come una di loro, ma forse proprio per questo le sembra più interessante.
I mesi passano, e tra loro si crea uno strano rapporto, che pian piano assume i contorni di un'amicizia tutta particolare, dove nulla è detto apertamente, ma che man mano diventa un rapporto solido di stima e supporto. Ma nei mesi non è solo il rapporto con Elfriede a modificarsi, ma anche quello con il tenente Ziegler, il capo della caserma.

Qui nascono le domande più grandi secondo me: cosa è lecito fare per mettere in salvo se stessi? E soprattutto: quante cose facciamo per nostra scelta, nascondendoci dietro la scusa che lo stiamo facendo per salvarci?

Belle domande... difficile rispondere: di certo sono nata in un'età fortunata, dove il più grande problema è quello di trovare un posto di lavoro e non certo mettersi in salvo da una guerra, quindi, il mio non può essere decisamente un giudizio su basi certe, ma la storia di Rosa mi ha fatto riflettere. Il suo rapporto con Ziegler sembra nascere per imposizione, ma da un certo punto in poi mi sembra di trovare in lei la volontà di cercare in lui qualcosa che non la faccia pensare al dolore, alla sofferenza, alla mancanza di suo marito che non pensa riabbraccerà mai più; Rosa è come divisa a metà, tra la brava moglie che dovrebbe essere e l'amante del tenente che invece vorrebbe essere.
Logicamente per me la disperazione del contesto in cui tutto questo avviene la posso solo immaginare, sono abbastanza giovane da poter conservare solo il ricordo di qualche racconto dei miei nonni, i quali, tra l'altro, non amavano particolarmente nemmeno parlare di quel periodo storico, e questo mi può far solo immaginare quanta angoscia e sofferenza fossero racchiusi in quegli anni.

E' un libro che per me vale la pena di leggere, perché ci regala uno spaccato di quegli anni molto particolare, dalla parte di chi, pur non essendo finito nei terribili campi di sterminio, ha vissuto un tipo di prigionia del tutto particolare (ricordo che tutto è tratto da una storia vera, della quale si è venuti a conoscenza solo pochi anni fa), e che evidenzia, per una volta, quale fosse il modo di vivere di coloro che erano a casa ad aspettare notizie dei propri cari coinvolti nel conflitto.


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